lunedì 8 ottobre 2007

LA FAMIGLIA TORSOLI DI MONTICIANO - PARTE II-1

Antonio, Tullio, Alberto, Azzurro.



Antonio Torsoli, nato a Monticiano nel 1898, morì a Vobarno, in provincia di Brescia, per infortunio nel 1918. [1] Aveva vent’anni.
Era uno dei figli del già ricordato Andrea, fratello minore di Pergentino, detto ‘Drea del Picchiòli’, artigiano e ultimo lampionaio di Monticiano. Fratello di Luisa (cg. Tacconi, †1977), di Vilmo (†1977) e Caterina. Tutti cugini dei citati Aldo e Alighiero.
Giovane fante coraggiosissimo, devoto, disciplinato, cresciuto nel culto del dovere, per dar subito prova del suo ardimento e della sua fede nella vittoria finale, aveva ripetutamente chiesto e ottenuto di essere ammesso fra gli Arditi (chiamati anche ‘Fiamme Nere’), tutti volontari. Si trattava di plotoni d’assalto speciali - nati ufficialmente nell’ambito della II Armata il 29 luglio 1917, ma esistenti fin dal 1916 - per essere impiegati nelle più arrischiate imprese.

"se non ci conoscete guardateci dall’alto,
le ‘Fiamme Nere’ passano dei battaglion d’assalto…! "

Ostentatamente gli Arditi, armati di moschetto, tenevano bene in vista al cinturone un temibilissimo pugnale che usavano di preferenza nell’assalto e nel corpo a corpo unitamente ad un tascapane pieno di bombe a mano (si trattava in realtà di petardi ‘Thevenot’ dal limitato effetto di frammentazione, ma dal forte scoppio, ideale per l’uso in assalto - “Una stella ci guida: la sorte / e ci avvincon tre fiamme d’amor, / tre parole di fede e di morte: / il pugnale, la bomba ed il cuor…” diceva un loro celebre canto di guerra). I reparti Arditi furono inoltre dotati di lanciabombe e lanciafiamme. Fra le altre imprese - divenute poi leggendarie - nel settembre 1917, epoca in cui morì il nostro Antonio - ed è per questo che ricordiamo l’episodio specifico - il I Reparto d’Assalto attaccò gli austriaci ‘pugnal tra i denti’ sulle posizioni del San Gabriele. Il generale Giardino, comandante l'Armata del Grappa, diramò questo bollettino: "Con meraviglioso slancio, il IX Reparto d'assalto ha in dieci minuti riconquistato Col Moschin, catturando 250 prigionieri con 27 ufficiali e 17 mitragliatrici". Al termine dell’azione furono contati i pezzi d’artiglieria conquistati al nemico: ben 27 preziose bocche da fuoco erano cadute in mani italiane!

E noi, volendo celebrare il Nostro con tutto l’affetto possibile, ricordiamo volentieri quest’ episodio nel quale riviviamo il doloroso sacrificio, ma anche l’orgoglio, di così valorosi soldati ai quali accomuniamo a pieno titolo il nostro congiunto.
A creare lo spirito eroico ed ardimentoso delle nuove generazioni concorsero in maniera molto sensibile tutti quelli che per la grandezza della Patria fecero olocausto della loro vita, ma gli Arditi, questi baldi e focosi giovani dalle fiamme nere furono nel primo conflitto mondiale il simbolo dell'ardimento, dell'audacia e della temerarietà. Gli ostacoli che il nemico opponeva al loro progredire erano superati con sublime slancio e la vittoria coronava assai spesso il loro eroismo.
Antonio trovandosi impegnato nel bresciano fin dall’agosto 1917, il 13 settembre durante alcune esercitazioni venne gravemente ferito dallo scoppio di una bomba. Morì in breve. Per il suo comportamento può giustamente essere considearto un esempio di solide virtù umane e militari sbocciate spontaneamente fra il popolo di Monticiano.

E’ ancora il poeta Giuseppe Ungaretti, fante del 19° reggimento (brigata ‘Brescia’) a descrivere l’esperienza del San Michele alla vigilia della Sesta Battaglia (presa di Gorizia):

SONO UNA CREATURA

Valloncello di Cima Quattro, il 5 agosto 1916

Come questa pietra
del San Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata
Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede
La morte
si sconta vivendo.

Ben a ragione, dopo che i due popoli cessarono di essere ostili, sulla Cima 3 del S. Michele fu posta dal Duca d’Aosta una lapide con l’epigrafe :

Su queste cime
Italiani e Ungheresi
combattendo da prodi
si affratellarono nella morte.



Tullio Torsoli, fratello minore di Pergentino, nato nel 1878 dal secondo matrimonio di Alceo con Caterina Barazzuoli, fu laborioso ed intelligente e cooperò sempre per il buon andamento della sua famiglia che amava.
Chiamato alle armi, giunse al centro di mobilitazione di Pistoia (178° battaglione di milizia territoriale) il 28 agosto 1917 (aveva perciò a tale data già 39 anni).
Il 2 settembre successivo lo vediamo nel Deposito del 70° reggimento fanteria (è la brigata ‘Ancona’ di Alighiero!) dove resta fino al 6 aprile 1918. In questa data viene trasferito al 218° Battaglione milizia Territoriale e inviato in Albania.

Col bagaglio delle sue buone abitudini seppe presto adeguarsi alla nuova situazione e giunse al fronte con l'animo deciso a compiere fino all'ultimo il suo dovere. D'ingegno pronto sapeva ovunque disimpegnare i suoi compiti lasciando contenti i superiori. Poco si è potuto sapere di preciso sulla sua attività di combattente salvo che nell'aprile del 1918, dopo di avere sfidato le insidie nemiche sul mare Adriatico (sommergibili, mine ecc.), giunse in Albania. Questo era stato fino a quel momento un settore relativamente calmo dove i combattimenti si svolgevano con scarsezza di mezzi e ad intervalli piuttosto lunghi.
Tullio trovò la morte per malattia - esattamente per bronco-polmonite - nell’infermeria di Mazari il 18 ottobre 1918 fra quei valorosi durante la nostra offensiva finale, e conseguente vittoria, che aveva avuto inizio nel luglio 1918, azione oltre Vojussa mirante alla conquista di tutto il territorio compreso tra quel fiume ed il Semeni, dal mare ai monti Nali Sloves. Nel 1924 gli fu concessa la «Medaglia Commemorativa Nazionale per la guerra 1915-1918 ‘alla memoria’».

Abbiamo visto, e vedremo, come la giovinezza cresciuta fra le domestiche mura della nostra cittadina di Monticiano fu feconda di eroismi e seppe dare alla Patria una considerevole corona di prodi di tutte le età, di tutte le classi sociali. Il soldato Tullio Torsoli è tra gli eroici figli di questa generosa terra che seppero soffrire e vincere, lottare e morire senza un lamento, senza una pretesa. Il suo Nome eternato nel marmo che la cittadina ha innalzato ai suoi figli Caduti per la Patria, testimonierà in eterno ai posteri tutto il valore spiegato nell’obbedienza silenziosa alle patrie leggi.


"Non sa dire la tomba il nome mio,
ma lo conosce e benedice Iddio "

"Fida gavetta mia, pace a te quassù:
ora, se non sei colma, io non borbotto più "




A questi valorosi si aggiungono gli altri fratelli Alberto (n. l’ 11 luglio 1891 †22 novembre 1962), all’epoca capitano di fanteria e Azzurro (n. 11 agosto 1897 †16 ottobre 1978), entrambi combattenti e reduci. Con loro si vogliono idealmente ricordare tutti quei nostri connazionali, e in particolare i concittadini di Monticiano, che combatterono in quel conflitto terribile e sanguinoso.

Alberto, prima con l’87° Reggimento di fanteria ‘Friuli’ prestò servizio in Libia durante la guerra italo-turca (1911-12), poi combattè da Sottotenente sul Carso nella Brigata ‘Basilicata’ col 91° Reggimento.
Perdurando la guerra, fu promosso capitano e divenne comandante di una Compagnia mitraglieri FIAT.

Non abbiamo notizie precise su questo periodo che impegnò molto lo zio com’ è facilmente immaginabile. Ricordiamo dai suoi racconti che al ritorno sbarcò a Napoli, ma che dovette curarsi a lungo per malattia contratta nei disagi della guerra. Per un caso fortuito anche il suo fratello minore Aligi, di ritorno dalla prigionia dopo la seconda guerra mondiale (1947), sarebbe sbarcato a Napoli.

A Monticiano restarono, con riferimento all’occupazione della Libia, alcuni soprannomi quali: ‘Bengàsi’ e ‘Beduino’ (Augusto Salvatici)… Non sappiamo se questi soprannomi furono attribuiti ai loro ‘titolari’ per il personale coinvolgimento nella guerra oppure per qualche altra ragione, cosa sempre possibile, nella vita di paese.
Dopo la guerra libica alla quale partecipò Alberto vi fu solo un breve periodo di pace. Poi scoppiò la grande guerra alla quale il Nostro, ormai tenente e poi capitano partecipò, come abbiamo detto, nei reparti mitraglieri FIAT, reparti che erano considerati all’avanguardia sia per il materiale impiegato sia per il tipo di guerra di posizione che favorì l’impiego di questo tipo di armi. In effetti tra le innovazioni che avrebbero cambiato il volto della guerra ci fu l'uso estensivo della mitragliatrice a scopi prevalentemente difensivi. Un solo uomo, appostato in un nido di mitragliatrice, poteva tenere in scacco un'intera brigata, rendendo spesso vani i tentativi di attacco diretto. Conseguenza immediata di tale innovazione fu l'edificazione, in particolar modo sul fronte occidentale, di imponenti linee difensive, una catena di trincee che andavano dal Mare del Nord alla Svizzera.
Quando il conflitto ebbe inizio l’Italia avrebbe dovuto avere in organico circa 650 mitragliatrici, ma di fatto ne erano state distribuite poco più di trecento; ogni reggimento ne aveva in dotazione solo due. In seguito furono circa 2000 le compagnie mitraglieri armate con mitragliatrici per lo più FIAT, Maxim e Saint Etiénne che in complesso vennero a disporre di circa 21.000 mitragliatrici di cui 6.000 leggere.
E qui ci torna alla mente che durante il conflitto tutti gli eserciti europei riscoprirono le armi bianche. La ferocia del combattimento di trincea fece tornare in auge il “ferro corto” nelle sue forme più svariate. Innanzitutto la baionetta alla quale presto si aggiunse tutta una serie di coltelli, pugnali e daghe. Gli inglesi introdussero il coltellaccio dotato di tirapugni, direttamente importato dai peggiori bassifondi londinesi. Gli italiani, da parte loro, ebbero come specialità il micidiale coltello a serramanico dei pastori sardi, singolare privilegio - caso “unicissimo”! - della Brigata ‘Sassari’, conosciuto anche come pattada dal nome della cittadina di Sardegna da cui traeva origini lontane nel tempo.

Alcuni ricordi di guerra.

• Lo zio Alberto raccontava che allo scoppio del primo conflitto mondiale era previsto che l’ufficiale avrebbe dovuto precedere le truppe all’assalto indossando la grande uniforme con decorazioni, sciarpa azzurra, sciabola (brunita fin dalle prime settimane) e guanti bianchi. La banda reggimentale avrebbe dovuto suonare inni durante l’azione. Ben presto, come si può immaginare, la dura quotidianità non tenne conto di queste disposizioni che, del resto, non furono mai applicate forse neppure nei primi giorni di guerra….;

• lo zio raccontava anche di aver saputo da un ufficiale austriaco prigioniero di guerra come, trovandosi nel settore Cima Vezzena e Verle, il suo reparto aveva subìto l’attacco italiano del battaglione alpino ‘Bassano’. Gli italiani, dapprima vincitori, in seguito erano stati costretti a ritirarsi secondo un modulo frequente e reciproco durante il primo conflitto mondiale. Dov’ erano stati i nostri furono ritrovati dagli austriaci molti strumenti musicali: gli alpini erano andati all’attacco al suono di una delle loro canzoni….; alla metà degli anni ’60 ritrovammo narrato questo episodio in un famoso libro di Fritz Weber…

• dentro il forte italiano di Verena nel giugno 1915 un proiettile da 305 mm austriaco, uno dei primi, dopo aver fatto breccia nel corpo delle casematte, scoppiò nel corridoio principale del forte e uccise sul colpo cinquantatré uomini. Altrettanto successe, come risposta, nel Forte austriaco di Verle in Val Lavarone dove una di queste terribili bocche da fuoco, trasportata e posizionata in segreto dagli italiani nell’agosto 1915, con un colpo magistrale distrusse la torretta-osservatorio corazzata del Forte dopo appena mezz’ora di combattimento demoralizzando profondamente gli occupanti che neppure sospettavano l’esistenza del pezzo da 305 nelle artiglierie italiane. Descriveva lo zio Alberto questi fatti in modo colorito e avvincente concludendo enfatico con la voce accompagnata dal gesto delle mani che mimavano il rotolare di calcinacci e pietrame : “…grossi blocchi di cemento precipitarono sul corpo delle batterie e rotolarono nell’antifosso…”;

[1] Vobarno (Boaren in bresciano) è oggi un comune di 7.576 abitanti della provincia di Brescia, situato nella Valle Sabbia. Dista 8 Km da Salò e dal Lago di Garda.

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