giovedì 11 ottobre 2007

LA FAMIGLIA TORSOLI DI MONTICIANO - PARTE I-1

Quando Desiderio, re dei Longobardi, fu sconfitto da Carlo, re dei Franchi, nel 774, per tutti in Italia bastava e avanzava il semplice nome. Tra il Mille e i secoli XIII-XIV la crisi del feudalesimo e il conseguente rafforzamento delle principali città - i Comuni - determinarono fenomeni di immigrazione interna dai villaggi ai grossi centri, movimento di beni, una più intensa partecipazione alla vita pubblica, la nascita di nuovi rapporti economici. Soltanto allora si sentì il bisogno di identificare esattamente gli individui con l’aggiunta di un’“etichetta “ al nome.
Il processo di fissazione del cognome si concluse nel nostro paese in epoca rinascimentale, quando il casato divenne immutabile per legge e trasmettibile di generazione in generazione. Oggi in Italia si registrano ben 280.000 cognomi differenti
I cognomi italiani possono derivare da nomi personali di origine latina, germanica, greca, ebraica; dai nomi di formazione medievale e dai nomi letterari o storici tratti da fonti classiche e dai romanzi cavallereschi. Molti risultano da soprannomi che spesso precisano il mestiere di chi li portò originariamente. Diffusi, specie nel meridione, i patronimici o matronimici preceduti dalla preposizione di o dagli articoli determinativi lo, la.
Non mancano i cognomi che rispecchiano l’aspetto fisico o il carattere dei nostri antenati. Anche i paesi d’origine e i luoghi di provenienza e di residenza costituivano un ottimo elemento di identificazione. Un buon terzo dei cognomi italiani deriva da etnici o toponimi.
Una buona partenza nella ricerca delle origini familiari può essere un colloquio con i membri più anziani della famiglia che spesso consente di risalire abbastanza indietro nel tempo. Per il cognome ‘ Torsoli ‘ possiamo dire che esiste una tradizione orale ripetuta dal colonnello Alberto T. che avrebbe fatto provenire gli antenati dal territorio grevigiano verso il sec. XVII.


La provenienza sarebbe stata dalla borgata di TORSOLI presso Lucolena nel territorio di Greve in Chianti, dove - cosa importantissima - ancor oggi il cognome sussiste.
Possiamo considerare questi due dati e cioè la tradizione orale e il cognome ancora presente in quel territorio, un indizio rilevante.

Non lontano da Greve in Chianti, sotto il Monte Domini, in una specie di conca sovrastata da monti celebri per folti castagneti ove ebbe i natali Michele di Lando capo della rivolta detta ‘dei Ciompi’ e poi Capitano del Popolo a Firenze, sorge il piccolo centro di LUCOLENA (m 542) di circa un migliaio di abitanti. Vi si giunge da Firenze percorrendo la Chiantigiana fino a Strada (km 14) poi, dopo il paese, la trasversale che va a Figline. Si percorrono dodici chilometri attraverso Cintoia, Passo della Panca, Imbuto, Dudda. Dopo Dudda si devia a destra superando un ponticello e si percorrono tre chilometri in salita fino a Lucolena.
Il borgo ha bei rustici e villette e una gran pieve romanica, Santo Stefano, trasformata nell’ ‘800, che fa parte del piviere di Gaville. All’interno della chiesa due affreschi del ‘500 che rappresentano San Benedetto e San Giuseppe giovane.

L’abitato è collocato presso la sommità del Monte Domini - sovrastato questo da una grande Croce in ferro visibile dal Chianti e dal Valdarno con i resti della secolare chiesa. Vi trova origine il torrente Cesto che scorre fino a Figline Val d’Arno. Lucolena si trova fra le soppresse Badie di Montescalari e Montemuro e sul bivio delle strade comunali provenienti da Radda e da Greve. Queste strade si congiungono proprio qui prima di scendere verso Gaville e Figline.
Nei dintorni i ruderi del Castellaccio, la Badia di Montemuro e i resti della Badiaccia.

Il più antico documento che parla della località è una pergamena dell’ottobre 929. Fu scritta a San Cristoforo e tratta della cessione di un appezzamento di terreno in località ‘Lavaclo’ nel piviere di Cintoia. Altri documenti citano Lucolena per l’anno 1005 e 1008. Per la cronaca, un conte de’ signori di Lucolena fu menzionato alla celebre pace di Firenze del 1280 tra guelfi e ghibellini, quella famosa pace curata dal cardinal Latino.

Contro il borgo più volte si sfogò la rabbia dei ghibellini che infine lo saccheggiarono e lo bruciarono il 2 giugno 1302.
Esiste anche una lettera del 1304 in cui il castellano della torre di Lucolena scrive alla Signoria dichiarandosi pronto ai cenni del governo in occasione della rivolta dei Bardi contro l’ordine e la libertà della patria. E’ interessante notare come Lucolena conserva ancor oggi la forma dell’antico castello.

Motivo di richiamo nella località sono le fiere del lunedì dell’Angelo, del 1° lunedì di agosto e della 2a domenica dello stesso mese. La 2a domenica di ottobre si tiene l’ormai tradizionale Festa dei Marroni.

Da Lucolena attraversando Dimezzano si raggiunge la borgata di TORSOLI che si trova a circa 18 chilometri a sud-est di Greve di cui è frazione. Siamo alti sul mare 691 metri e ci troviamo circa due chilometri a nord di Badiaccia Montemuro ove convergono i limiti delle provincie di Firenze, Arezzo e Siena sul pendio orientale dei monti e del valico che divide il Chianti senese da quello fiorentino in località detta Morellino. Sullo sfondo nord-ovest la maestosa catena del Pratomagno. In direzione sud con i suoi 892 metri il Monte San Michele è la quota più elevata del Chianti.

Le origini della borgata possono essere etrusco-romane. Il nome, dal punto di vista filologico, dovrebbe riferirsi alla dea pagana Torsa divinità etrusca protettrice delle alture e dei valichi.

Nel XIII secolo veniva nominata la chiesa di S. Gaudentii de Tarselle che, almeno nella radice, riprendeva quell’antico vocabolo.
Secondo Carlo Baldini c’è chi afferma che in località ‘Il Morellino’ (o ‘Morettino’), passo che divide la Val di Pesa da quella del torrente Cesto, si trovasse un tabernacolo dedicato alla dea Torsa, divinità pagana dalla quale deriverebbe il nome della località pronunciato con la ‘o’ aperta. Vi transitava la consolare Via Cassia già strada etrusca.

Ora, quest’idea del tabernacolo etrusco ci pare del tutto peregrina visto che in nessun altro luogo l’archeologia ha potuto rinvenire reperti di tale valore - sarebbe un fatto eccezionale, un caso più unico che raro! - e riportiamo questo autore solo per pluralità d’informazione.

Una successiva interpretazione per la quale il toponimo deriverebbe dall’espressione latina Turris soli (‘Torre al sole’) sembrerebbe una di quelle ingenuità filologiche abbastanza frequenti nella nostra toponomastica create ad arte con l’intento di far risalire ad epoca romana molte località le cui origini si erano perse nella notte dei tempi regalando loro una sorta di alone di nobiltà o comunque una paternità non potuta provare altrimenti. Questa interpretazione riferimmo nella raccolta di dati e notizie del 1967. Ci fu suggerita in totale buona fede dal parroco di San Gaudenzio a Torsoli, don Quintilio Billi, oggi defunto. Tuttavia la derivazione non ci pare ragionevolmente sostenibile e, avendo approfondito l’argomento anche dal punto di vista filologico, propendiamo senz’altro per quella da etimo etrusco.

Dal nome Torsa, si spiegherebbe anche, e finalmente, perché la pronunzia locale sia con la prima ‘o’ aperta come ‘tòro’ anziché con la ‘o’ stretta di ‘torre’.
A lungo andare tuttavia, almeno nel ramo senese, il cognome venne pronunciato con la ‘o’ stretta favorita dalla pronuncia del vernacolo e dall’allontanamento dal luogo. Si tratta di evidente distorsione, consolidata col trascorrere del tempo.

Stabilire con certezza l’origine del nome è comunque cosa non facile. Infatti i primi documenti storici a noi pervenuti che nominano la località di Torsoli non sono di epoca romana, ma risalgono all’ XI secolo. Sono due atti di donazione appartenenti alla Badia a Passignano che rammentano beni posti in ‘ Torsole ‘ e facenti parte del Piviere di San Romolo a Gaville o Cortule. Il primo di questi documenti fu scritto in Pietrafitta il 27 luglio del 1050. L’altro fu scritto il 15 giugno 1080 nel distretto di Greve. Un altro documento cita la località per l’anno 1176.
Il Repetti nel suo Dizionario storico-geografico della Toscana cita :
TORSOLI, o TORSOLE in Val di Greve.- Casale con chiesa parrocchiale (S. Gaudenzio) nel piviere di Gaville, Comunità, Giurisdizione a circa tre miglia toscane a scirocco di Greve, Diocesi di Fiesole, Compartimento di Firenze.
Risiede presso il giogo dei monti che separano le acque del val d’Arno fiorentino da quelle della fiumana di Greve, sopra le sorgenti del torrente Cestio di Gaville.
Due istrumenti del sec. XI appartenuti alla Badia di Passignano rammentano questo luogo nel piviere di S. Romolo a Gaville o Cortule; il primo dei quali fu scritto in Pietrafitta il 27 luglio 1050, e l’altro il 15 giugno 1080 nel distretto di Greve presso il Castel di Torsoli nel piviere di S. Romolo in Cortile. (ARCH. DIPL. FIOR. Carte citate) – Vedere GAVILLE.
La parrocchia di S. Gaudenzio a Torsoli nel 1833 contava 129 abitanti.



In località Monte Castellare, più in alto di Torsoli, c’era una torre, detta in seguito ‘Torraccia’ e più su ancora i resti, visibili fino a qualche decennio fa, e non è escluso che l’idea di un castello e di una torre possa aver ‘aiutato’ il riferimento del toponimo alla radice ‘turris‘ in un’epoca in cui prevaleva il culto della romanità.
Nulla sappiamo della storia di questo castello che per essere situato in quelli che furono i feudi dei conti Guidi potrebbe essere stato costruito da quella nobile famiglia. Dei fabbricati difensivi, torre e castello, si hanno notizie, come abbiamo appena detto, fino dagli anni 1050 e 1080. E’ appunto da tali atti che i conti Guidi risultano come feudatari riconfermati dai diplomi imperiali. Infatti nel 1220 tutta la zona che comprendeva Dudda, Torsoli e altri castelli venne confermata da Federico II sotto la giurisdizione imperiale. Cosa sia avvenuto dopo di allora poco si sa.
Sia la torre, che serviva per avvistamento, sia il castello, che era per difesa, durante la seconda invasione aragonese del 1478 furono dati in consegna dalla Signoria di Firenze al Commissario per il Chianti, Pier Giovanni Ricasoli, con le munizioni necessarie alla guarnigione.
Successivamente i Capitani di Parte Guelfa stanziarono 30 lire annue per il mantenimento della torre fino al luglio 1520; poi fu affidata ai capi famiglia di Torsoli e Lucolena. Per il restauro della torre stanziarono i medesimi Capitani lire 108.
Molti dei numerosi castelli della podesteria furono in seguito trasformati in ville e fattorie. Altri persero i caratteri originari. Tra questi Collegalle, Convertoie, Rignana, Torsoli e Linari.

Fin da tempi antichissimi Torsoli fu località di transito e di sosta; essa si trovava infatti sul percorso da Greve a Radda in Chianti, percorso utilizzato da chi partendo da Firenze voleva arrivare a Siena e cadde in disuso solo quando fu aperta una nuova strada più invitante e facile che conduceva a Radda (o a Castellina in Chianti) passando per Panzano. L’antica bottega di generi alimentari dove si erano rifocillati per tanti anni vetturali e viaggiatori continuò ad esistere fino al 1840 e si trovava presso la chiesa. L'ultimo bottegaio pare essere stato un certo Focardi.

A Torsoli, per quanto piccolissima borgata, si trovava uno ‘spedale ‘ dedicato a San Macario Abate e posto nella casa colonica accanto alla chiesa parrocchiale, che era chiamata spedale, appunto. Aveva lo stemma del Bigallo sia alla casa sia ai confini del podere e del bosco. La presenza di questo stemma nel territorio è di fondamentale rilievo sia storico sia giuridico. Infatti quando parliamo di stemma del Bigallo intendiamo qualcosa di più di un comune stemma araldico come l’uomo d’oggi potrebbe pensare. In effetti occorre riportarsi all’epoca per valutarne tutta l’importanza. Si tratta dell’insegna del Magistrato dei Capitani di Santa Maria del Bigallo al cui al cui zelo e carità cristiana fu affidata la soprintendenza e direzione di tutti gli Spedali del Granducato di Toscana.
Proprio nel caso di Torsoli è facile avere un’idea di quella che fu la capillare distribuzione sul territorio di questi ‘spedali‘ che, a nostro parere, segnano un capitolo di grande rilievo nella storia dell’assistenza ai malati bisognosi e contribuiscono notevolmente alla collocazione della Toscana granducale fra gli Stati più moderni nell’ Europa del suo tempo.

Anche un fosso è denominato ‘Borro di Torsoli ‘. Esso nasce da impluvi sulle pendici settentrionali del Monte San Michele in vicinanza delle case segnate sulle carte topografiche con la quota 850. Il borro scorre ad oriente della borgata e va poi ad alimentare le acque del borro del Cesto.
A questo proposito non sarà inutile ricordare che tutta l’acqua che serve al fabbisogno delle popolazioni di Greve in Chianti e di Panzano nasce dalle sorgenti nei boschi di Torsoli. L’acquedotto fu costruito negli anni 1928-1929.
La borgata è caratterizzata da una chiesa parrocchiale collocata in un ampio pianoro panoramico lungo la strada. Essa è dedicata a San Gaudenzio monaco, abate, confessore, eremita la cui festa viene solennemente celebrata il 26 novembre d'ogni anno.

Già abbiamo detto come la chiesa venisse citata fin dal sec. XIII come ‘ S. Gaudentii de Tarselle‘ in un documento sulle decime, ma essa risale almeno al mille: si possono vedere ancora le antiche strutture della chiesa e della poderosa torre campanaria. Lo stile iniziale romanico subì tuttavia modifiche settecentesche con intonaci sia all’interno sia all’esterno.
La parrocchia di Torsoli viene ricordata in un documento del sec. XVI come San Godenzo a Torsoli secondo una variazione abbastanza comune del vernacolo arcaico toscano che tendeva a trasformare il nome Gaudenzio in ‘Godenzo’. Il documento riguarda i popoli della Podesteria di Greve.

La parrocchia è oggi ridotta a poche anime e appartiene alla diocesi di Fiesole di cui è Vescovo fin dal 1981 mons. Luciano Giovannetti. L’attuale parroco don Giuliano Morelli, succedette al defunto don Quintilio Billi ed è titolare anche della parrocchia di Badiaccia Montemuro.
Alla Chiesa è annessa la canonica. L’una e l’altra sono in ottime condizioni. Il già citato don Billi - intelligente e fattivo - fin dagli Anni ’60 effettuò numerosi miglioramenti ai fabbricati del beneficio parrocchiale (pod. ‘La Buca’) restituendo loro dignità estetica e funzionale e dotandoli di tutte le comodità.

Abbiamo una raccolta di notizie, custodita nell’archivio della parrocchia e compilata da Bartolomeo Torsoleschi, rettore della Chiesa di Torsoli. Essa è datata 1609. Altri documenti ricordano come nel 1446 essa avesse 200 anime. Quattro secoli dopo, nel 1833, la popolazione era ridotta a 129 persone. Per la precisione constatiamo che i registri delle Cresime hanno inizio dal 1774; quello dei Matrimoni dal 1560; quello dei Morti dal 1632. Il registro dei Battezzati ha inizio nel 1926 anno in cui venne collocato il Fonte battesimale; gli stati delle anime hanno inizio nel 1624.
E’ interessante fra gli altri un documento, datato 16 ottobre 1850 e scritto in San Casciano Val di Pesa dal perito Ing. Antonio Sodi, nel quale si rappresentano al delegato del Governo di S.A.I. e R. in San Casciano, su richiesta dello stesso, le condizioni dell’edificio della Chiesa e viene richiesto l’intervento del Granducale Governo per l’esecuzione di alcuni lavori la cui spesa ammonta a L. 3.548,08.
La fronte della chiesa è volta a ponente. La canonica si trova sulla destra della chiesa per chi ne guarda la facciata. Canonica e chiesa sono congiunte da un ampio e lungo andito.
Di fronte a questi edifici si trovano due case già coloniche. Sulla destra di chi guarda la facciata della chiesa esisteva un vecchio pozzo coperto da un caratteristico tetto di tegole; esso fu disfatto fino a fior di terra e coperto con lastroni e mattoni dal parroco don Gino Casini verso il 1934.

Fanno parte del beneficio parrocchiale anche molti boschi all’intorno. Fra i più vasti della frazione citiamo i boschi detti ‘Stallaccia’, il ‘Cortolino’, il ‘Castellare’, la ‘Frosonaia’, la ‘Fora’, ma ve ne sono anche altri.

La Chiesa di San Gaudenzio a Torsoli contiene alcuni dipinti di pregiata fattura talvolta trasferiti temporaneamente nel capoluogo toscano per comparire in esposizioni colà organizzate.
Al primo altare a sinistra entrando, il visitatore nota subito una tavoletta dipinta. E’ un lavoro fine ed accurato rappresentante la Madonna con due terzi di figura seduta e con il Bambino in piedi sulle ginocchia della Madre. La tavoletta è centinata a semicerchi nella parte superiore. Quest’ opera di scuola fiorentina del sec. XVI è attribuita alla maniera del Vasari (cm 90 x cm 60).

Sempre al primo altare è ubicato un dipinto su tela del Carocci (m 3 x 2,15) raffigurante i santi Barnaba e Francesco con vari angeli. Pare piuttosto mediocre.
Sull’altar maggiore è posto un dipinto su tela (m 2,20 x m 2,75) raffigurante la Vergine con il Bambino in braccio, con San Giovanni Evangelista, San Sebastiano, San Gaudenzio, San Macari e diverse figure di angeli.
All’altare di San Domenico abbiamo un altro dipinto su tela raffigurante la Vergine del Rosario con San Domenico, San Giuseppe e le anime del purgatorio (m 3 x m 4,15).
Proveniva dalla Chiesa di San Gaudenzio a Torsoli anche la bella scultura raffigurante una Madonna col Bambino ora conservata nel Museo di San Francesco a Greve in Chianti. E’ questo uno dei cinque musei che costituiscono la moderna rete del sistema museale del Chianti fiorentino.

La scultura in stucco (cm 65 x 45 x 10), che ha quasi perduto completamente la policromia originale, ripropone il tema della ‘Madonna col Bambino’ nell’accezione intimistica propria di molte opere del primo Rinascimento fiorentino, descrivendo il tenero gesto con cui la Madre attira a sé il Figlio e il profondo legame affettivo che li unisce. I due volti, però, sebbene uniti dall'abbraccio, non si guardano, rimanendo anzi assorti come nella consapevolezza della natura non terrena del loro rapporto. Il gruppo poggia su di un basamento dello stesso materiale, che reca alle estremità due stemmi con scudo a mandorla dalla superficie liscia.
Il prototipo di quest'opera è la Madonna col Bambino in stucco policromo del Museo Nazionale del Bargello, riferito alla bottega del Ghiberti e successivamente riprodotto in numerose repliche. Ancora influenzato dai modi tardogotici si rivela l'autore della scultura di Torsoli, che dopo una prima attribuzione alla bottega dello stesso Ghiberti, è stata assegnata al fiorentino
Nanni di Bartolo, artista formatosi su Donatello ma caratterizzato oltre che da una personale vena malinconica, da inflessioni ed eleganze ritmiche legate alla tradizione prerinascimentale.
La datazione al secondo decennio del secolo XV, avanzata sulla base del confronto stilistico con altre opere, è giustificata dal fatto che la scultura non presenta ancora i caratteri di sintesi formale che sono propri delle opere più tarde: le fattezze della Madonna appaiono ancora in linea con le aggraziate sembianze delle Vergini ghibertiane, così come allo stesso ambito stilistico richiama il velo, panneggiato in pieghe fluenti.
Presso la Chiesa, ma al di là della strada, un piccolo monumento molto significativo - composto da un cippo in pietra e da una pala d’elica d’aereo posta verticalmente sul prato che lambisce i boschi - ricorda il tragico incidente aereo avvenuto il 10 luglio 1982 nel cielo di Torsoli. Durante un’operazione di protezione civile un velivolo della 46° Brigata Aerea precipitò per un guasto al motore trascinando con sé i quattro componenti l’equipaggio.
Recita la targa ricordo :

SU QUESTO CIELO IL 10 LUGLIO 1982
SUL VELIVOLO “LUPO 84”
GLI AVIATORI DEL 98° GRUPPO DELLA 46a AEROBRIGATA

Ten. Col. Pilota DOMENICO FANTON
Cap. Pilota MAURIZIO MOTRONI
M.llo Marconista FURIO COLAIACOMO
Serg. Magg. EMB ALESSANDRO COSIMI

SACRIFICARONO LA PROPRIA VITA
DURANTE IL COMPIMENTO DI UNA MISSIONE DI PROTEZIONE CIVILE.
10 LUGLIO 1984 - IL 98° GRUPPO E GLI AMICI DI TORSOLI



Dopo vent’anni, il luttuoso episodio veniva solennemente commemorato a Torsoli con il gemellaggio fra il 98° Gruppo e la borgata. Una modesta targa in metallo veniva aggiunta in tale occasione sul medesimo cippo votivo:


A CELEBRAZIONE DEL VENTENNALE DELL’INCIDENTE DI VOLO DEL LUPO 84, CADUTO IN UN’ OPERAZIONE DI PROTEZIONE CIVILE NEI CIELI DEL COMUNE DI GREVE IN CHIANTI, SI SUGGELLA IL GEMELLAGGIO TRA IL 98° GRUPPO DELLA 46a BRIGATA AEREA DI PISA E LA FRAZIONE DI TORSOLI.
TORSOLI 10.7.2002


Rimandiamo ad altra occasione più accurate indagini sui toponimi indicati qui di seguito : San Lorenzo a Torsoli, Santa Maria Nuova (San Gaudenzio a T.), San Michele de’ Monti (San Godenzo a T.), Villa Giusti (San Gaudenzio a T.), Casa Carlo, Casa Castagnoli (ci sono due villette con due case coloniche), Fonte a Beccastrino, Casa Montelfi, San Salvatore a Monte Domini.


Circa duecento metri a nord-ovest della chiesa di Torsoli ci sorprende una bella villa con ampio parco. Tale costruzione di ottima fattura e recante sulla facciata lo stemma in terracotta della nobile famiglia fiorentina Capponi, è denominata ‘La Carbonaia’ (m 686). Appartenne successivamente ai Torsoleschi, Bassini, Remedi, Babbini, Baldinotti, Capponi (che aggiunsero lo stemma gentilizio anzidetto). Oggi la Villa appartiene alla famiglia Pagni di Milano nella persona del figlio dell’Ing. Alessandro che fu, tra l’altro, Presidente della Salmoiraghi negli anni ‘60 e ‘70 e che lo zio Aligi conobbe.

L’edificio come oggi si presenta è relativamente recente, ma esso fu costruito certamente su altro di data più antica. Della ‘Carbonaia’ infatti si parla già nel 1250. Le sue condizioni attuali sono ottime sotto tutti i riguardi nel pieno rispetto delle esigenze estetiche e funzionali. La villa è dotata di cappella gentilizia e fino a quando le campagne restarono ben popolate vi si celebrava la messa domenicale con ampia partecipazione di popolo.

In questa cappella esisteva una campana dedicata a Santa Cristina. Verso il 1875 ne fu tentato il furto, ma il tentativo fu sventato. Dopo di ciò la campana, che infatti ora si trova sul campanile della Chiesa di San Gaudenzio, fu donata alla parrocchia non si sa bene da quale proprietario. Diciamo per inciso, e qui citiamo la testimonianza dell’antico parroco don Quintilio, che le altre due campane della chiesa furono fuse proprio a Torsoli.
Al di là della strada, di fronte alla Villa, una antica casa di stampo colonico reca sulla porta lo stemma Capponi in ceramica colorata.
Secondo la testimonianza del col. Alberto T. che, sia detto per inciso, ricordava a memoria i nomi di tutti gli antenati del ramo della Val di Merse fino ad un Giambattista nato circa il 1790 - il ceppo della famiglia risiedé, come abbiamo già accennato all’inizio, per lungo tempo nella patria di origine - cioè nel grevigiano - finché nel secolo XVII, appunto, un ramo si trasferì nel senese.

E infatti il nostro cugino Francesco Torsoli nel corso delle sue personali accurate ricerche ha potuto reperire il raro cognome esistente fin dal 1676 nel Comune di Montieri che al tempo contava 184 famiglie per un totale di 842 anime. “Purtroppo” - egli ci dice - “non abbiamo alcun elemento per stabilire in quale epoca questi antenati si trasferirono a Monticiano”.
Ci viene spontaneo notare come sia il borgo di Torsoli che quello di Montieri, per non parlare di Monticiano nei tempi passati, vivessero prevalentemente di un’economia boschiva legata al taglio delle piante, alla lavorazione e al trasporto del legname, alla preparazione del carbone di legna oltre che alla raccolta delle castagne. Queste erano le attività più diffuse. Potremmo ipotizzare che il trasferimento di parte della famiglia da una località all’altra, e cioè dal chiantigiano alla Val di Merse, fosse facilitata anche dal sussistere dello stesso tipo di economia forestale. Infatti la famiglia, per quanto si ricordi, non fu mai impegnata in attività agricole (coltivazioni o allevamento) o pastorali o commerciali (edilizia, mulini, ecc.), ma si mantenne quasi sempre nell’area di attività artigianali libere (calzolai, maniscalchi, seggiolai, barbieri) alle quali stagionalmente si inserivano la raccolta di castagne, tipica dell’area, e lavori temporanei in agricoltura (raccolta delle olive, vendemmia) o minerari o boschivi esclusa, quasi sempre, la commercializzazione di prodotti.

Come fu rilevato giustamente dal Proposto nell’omelia tenuta in occasione del matrimonio di Nicoletta T. con Giuseppe Gallori (1959), i due cognomi, Torsoli e Gallori, possono essere considerati fra i più antichi di Monticiano ancora esistenti. Per certo derivarono dai Torsoli della Val di Merse quelli poi esistenti nel grossetano (Sticciano di Roccastrada e Campagnatico, oggi ad Arcidosso, Campagnatico, prov. di Grosseto). Essi discendono da Giuseppe, Santi e Teofilo figli di Rinaldo, fratello di Alceo. Questi due ultimi [Rinaldo e Alceo] erano figli di Antonio nato verso il 1818. Una ricerca informale fra questa parentela ha evidenziato anche singolari somiglianze nei tratti somatici dominanti fra i membri dei vari rami.

Gli attuali elenchi telefonici nazionali (2005) evidenziano un totale di 34 titolari di questo cognome in maggioranza (85,29%) dimoranti in Toscana. Ad essi si devono aggiungere quelli appartenenti all’importante ramo di sicura origine monticianese residente ormai da circa un secolo nel Principato di Monaco e di cui fra poco parleremo.
Come ben ricorda l’amico di famiglia Leonardo Calossi, tenente della Guardia di Finanza e valente scrittore, già intrepido combattente e reduce dai campi di prigionia della Germania, oggi notissimo e benvoluto anche per aver voluto descrivere magistralmente molte vicende e personaggi della sua sempre amata cittadina di Monticiano - oltre ad altri fatti personali sofferti durante il suo servizio in tempo di guerra - Pergentino e Luisa (sposata nel 1890, nata Franci, figlia di Romano e sorella di Luigi e Giuseppa cg. Ciompi) vissero il periodo della prima guerra mondiale in costante trepidazione per i familiari che erano al fronte esposti in prima linea ad ogni genere di pericolo.
Infatti, oltre ai quattro figli Alberto, Alighiero, Aldo e Azzurro, - altri due figli Alfredo e Aligi non erano ancora in età di leva - si trovavano, fra i combattenti anche Tullio, fratello minore di Pergentino e Antonio, suo nipote, figlio dell’altro fratello minore Andrea (detto ‘Drea del Picchiòli’).

Alceo (figlio di Antonio), sposato in prime nozze con Lavinia Lodovici ebbe Pergentino, e in seconde nozze con Caterina Barazzuoli, ebbe altri due figli: Andrea (detto ‘Drea’) e Tullio.
Pergentino aveva appreso dal padre a realizzare con le sue mani le tradizionali sedie toscane per il cui rivestimento usava il falasco (detto a Monticiano ‘stiancia’) pianta palustre raccolta direttamente sulle rive della Feccia e della Merse. Infatti Alceo, nato nel 1842 al tempo del granduca Leopoldo II, era un artigiano seggiolaio, ometto poco saldo sulle gambe, un po’ claudicante e con la barba bianca sempre incolta. Raccontava di non aver mai viaggiato in treno, ma di averne visto uno con i propri occhi trainato da una sbuffante locomotiva. Ora occorre rifarsi ai tempi. La linea ferroviaria Siena-Empoli fu inaugurata solo nel 1856; essa fu l’ultima grande opera pubblica della Toscana granducale prima dell’Unità d’Italia.
Alceo aveva imparato a suonare il violino e la tradizione familiare lo vuole in quest’arte non facile, abile specialmente nei brani musicali ballabili. A proposito del violino Leonardo Calossi commenta “Come ne fosse venuto in possesso e come avesse imparato a suonarlo nessuno lo ha mai saputo”.

Pergentino aveva anch’egli grande orecchio musicale, ma aveva preferito imparare a suonare il clarino e per molto tempo fece parte della banda musicale di Monticiano. Anche il Foglio matricolare riporta che la sua arte era quella di Musicante. Una fotografia che risale al periodo del suo servizio militare di leva, e cioè nel 1886-88, lo ritrae con questo strumento e nella divisa azzurra-grigia con chepì e daga (mod. 1871) in uso nell’ultimo quarto del sec. XIX.
Nato il 17 marzo 1866 a Monticiano, Mandamento di Chiusdino, Pergentino fu arruolato come soldato di leva di 1a categoria del Distretto di Siena il 28 agosto 1886. Chiamato alle armi l’8 novembre successivo, raggiungeva il suo 75° reggimento fanteria, Brigata 'Napoli', il 26 novembre.
In data 24 aprile 1887 fu “designato” per il servizio ridotto a due anni invece di tre (il triennio di leva era stato previsto a partire dal 1875 con legge del ministro Ricotti), facilitazione che veniva concessa ad una certa aliquota di militari di leva per motivi… di bilancio nazionale.
Venne congedato il 23 agosto 1888 con dichiarazione di buona condotta.
Il 31 marzo 1892 fu richiamato alle armi per istruzione. Giunto il 16 agosto e mandato in congedo illimitato il giorno 31 dello stesso mese. Non siamo stati capaci finora di stabilire in quale periodo il nonno fu trasferito nell’ 89° Battaglione, 3a Compagnia così come si vede in una rara fotografia e come è anche confermato dal Foglio matricolare alla voce “Rettificazione”… ma senza indicazione di data. Le mostrine non sono quelle rettangolari bianche con una fascia orizzontale viola del 75° reggimento, ma si sono trasformate in fiamme ad una punta. Essendo la fotografia in bianco e nero non è neppure possibile ipotizzare qualche colore che potrebbe darci lumi in proposito (Artiglieria? Genio?). D’altra parte la numerazione per ‘battaglioni’ potrebbe far pensare alla Milizia Territoriale…. Ma il nonno vi fu iscritto solo dal 1899… e probabilmente non vi prestò mai servizio effettivo… Lasciamo aperto il quesito…
Iscritto nella Milizia Mobile del Distretto di Siena il 15 dicembre 1895.
Infine fu effettivo al Deposito del Reggimento il 31 marzo 1898; e poi nella Milizia Territoriale (dal 15 giugno 1899).
Prosciolto definitivamente dal servizio il 31 dicembre 1905.
Pergentino fu sempre un gran lavoratore e, in periodi di contingenze economiche particolarmente sfavorevoli per Monticiano non esitò, con grande decisione, a trasferirsi, sia pure per brevi periodi, in Francia dove i salari erano più remunerativi oppure in Maremma per lavori stagionali secondo un’abitudine piuttosto diffusa nel tempo. Si racconta a questo proposito che una volta si recò Oltralpe in estate appunto per trovare lavoro presso una ditta dove era già stato in anni precedenti e dove, al momento, lavorava il giovanissimo figlio Alberto, quattordicenne. Il titolare lo conosceva e volendo giocargli un piccolo scherzo gli disse pressappoco così: “Caro Pergentino, siamo contenti di vedervi. Purtroppo non abbiamo lavoro per voi, ma trattandosi di una semplice visita possiamo ospitarvi per qualche giorno”. Al buon uomo mancò il respiro sentendo quelle parole. Aveva tanto sperato in un lavoro col quale poter provvedere alla moglie e ai numerosi figli e quelle parole lo ferivano fin nel profondo dell’anima. Un nodo gli strinse la gola. Ma fu solo un attimo. Dignitosamente trovò la forza di rispondere con apparente noncuranza e molta fermezza: “Chi ha parlato di lavoro? Per ora, non m’interessa. Non ne ho proprio bisogno. Non sono venuto fin qui per lavorare, ma solo per far visita a mio figlio e sapere se sta bene. E’ la prima volta che si allontana da casa e sua madre è sempre così preoccupata per lui!” A quelle parole così dignitose e ben decise il titolare non ebbe animo di continuare più a lungo la cèlia e, quasi mortificato per aver fatto quella battuta di cattivo gusto, abbracciandolo gli disse: “Basta, Pergentino, voleva essere una burla! Di lavoro qui ce n’è per tutti, ma soprattutto per voi che conosciamo per onestà e profondo senso del dovere! E per voi di lavoro ce ne sarà sempre!!” Quest’episodio valga per rappresentare un uomo tanto modesto quanto schivo di carattere, ma mai disposto a cedere in dignità e decoro.

Fra i tanti lavoratori che si recarono all’estero per lavori stagionali (in genere da gennaio a giugno) ve ne furono anche di quelli che, più coraggiosi forse, decisero poi di trasferirvisi definitivamente avendo trovato, o sperando di trovarvi, una buona sistemazione. Molti si trasferirono in Provenza e a Montecarlo.
Fra quelli che presero la non facile risoluzione vi fu Angelo Torsoli che si stabilì nel Principato di Monaco all’inizio del secolo XX.
Aveva prima lavorato in Corsica con un gruppo di connazionali. Fu padre di Francesco detto ‘Cecco de Linge’. Questi sposò Rosa Russo. Ebbero numerosi figli: Angiolina (nata l’ 1 gennaio 1912, cg. Giorello); Florent (cg. con Marie); Giuseppina (cg. con Pietro Di Marco); Anna († 2006 - cg. con Tonino); Giovanni (che risiede ad Albenga).
Numerosi sono i discendenti di questo benemerito ramo familiare che risiedono a Montecarlo ancora oggi.
Diciamo subito che dalla già citata Angiolina, coniugata con Attilio Giorello nacque Florent (n. 22.2.1934). Da Florent Giorello sposato con Draghiza Jugovich (nata in Croazia) nacque Natia a cui va l’indubbio merito di aver ricostruito con passione ammirevole la vicenda del ramo familiare oltre che aver ricercato e rinnovellato, dopo circa un secolo, i rapporti con i parenti esistenti nel senese.

Natia Giorello, (n. 24.11.1971) giovane imprenditrice residente oggi a Montecarlo, parla correntemente varie lingue avendo, tra l’altro, frequentato brillantemente il liceo linguistico nella sua città e, molto interessata alle bellezze storico-artistiche italiane oltre che alle radici familiari, viene in visita in Toscana ogniqualvolta la sua impegnativa attività glielo consente, entusiasta di ritrovarvi vari affezionatissimi parenti.
Approfittiamo dell’occasione per ricordare subito Andrea Torsoli, detto ‘Drea del Picchiòli’ (come già detto fratello del nonno Pergentino, nato dalle seconde nozze del padre con Caterina Barazzuoli), che per lungo tempo fu il lampionaio di Monticiano incaricato dal Comune. Dell’altro fratello del nonno Pergentino, Tullio, (figlio egli pure di Caterina), parleremo poi annoverandolo fra i caduti in Albania del primo conflitto mondiale. Apparteneva al 218° Battaglione della Milizia Territoriale.


“All’imbrunire di ogni sera [Drea] si metteva in spalla la scala in legno a pioli, prendeva la stagnola del petrolio per il rabbocco e gli altri arnesi e faceva il giro del paese per accendere i pochi lumi posti sulle cantonate.”

Infatti prima dell’avvento della luce elettrica il paese veniva illuminato da lampioni a petrolio (a “canfino” come li chiamavano gli anziani).
Anch’egli fu un abile artigiano seggiolaio che incrementava il reddito familiare con l’incarico di occuparsi dei lampioni pubblici, incarico che tenne fino al 1926 quando anche a Monticiano fu ultimato, certamente con molto ritardo rispetto ad altri centri abitati, l’impianto per l’illuminazione elettrica, evento che addirittura trasformò la vita nel paese e lo proiettò, ahimè, ormai troppo tardi!, nell’era moderna.
‘Drea’ fu padre di Antonio morto in guerra nel settembre 1918 presso Vobarno, come vedremo più avanti.


Luisa, nonostante il suo da fare, nel tempo di guerra si premurava di visitare le madri e le mogli - tutte conosciute da sempre nel paese natìo – cui era pervenuta la tremenda notizia della scomparsa dei loro cari congiunti cercando in ogni modo di far loro coraggio e di sostenerle nella dura prova. Ciò continuò a fare anche dopo la morte di Alighiero.
Entrambi i coniugi Torsoli - Luisa e Pergentino - furono veramente di ferrea tempra e subirono ogni avversità con rassegnazione, fortezza d’animo e grande dignità che, dobbiamo dirlo, fa oggi onore non solo a loro, ma a tutta la Famiglia e alla cittadina natìa.
Ricorda Leonardo Calossi: “insieme avevano affrontato duri sacrifici e ristrettezze, sopportato sventure, lottato con saldezza morale per quella non comune famiglia”. Aggiungiamo che essi furono grandi patrioti e piansero Alighiero e Aldo con la rassegnazione degli animi forti. Straziati nel cuore non mancarono mai di esporre con orgoglio il Tricolore sulla loro abitazione in occasione di festività e celebrazioni nazionali. Furono sempre fieri dei loro figli che, sull’esempio dei genitori, erano cresciuti ben educati, disciplinati e amanti del lavoro e si dimostrarono tutti persone di buon carattere, miti, comprensive, socievoli e rispettose del prossimo. Non per niente quando vennero congedati il loro Foglio Matricolare riportò sempre la “dichiarazione di aver tenuto buona condotta e di aver servito con fedeltà ed onore”.
Dopo la guerra fu conferita a Luisa la Medaglia commemorativa dedicata alle Madri dei Caduti con nastro tricolore su fondo azzurro recante la seguente iscrizione: “Il figlio che ti nacque dal dolore ti rinasce, o beata, nella gloria e il vivo eroe, piena di grazia, è teco”. Questo importantissimo ricordo, vera e propria reliquia familiare, è conservata dal cugino Luigi.

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