giovedì 11 ottobre 2007

LA SESTA BATTAGLIA DELL' ISONZO

LA SESTA BATTAGLIA DELL’ISONZO
E LA CONQUISTA DI GORIZIA
(AGOSTO 1916)

“Pronta, Dodicesima!
Divisione di bronzo, è l’ora:
Brigata Casale,
Brigata Pavia,
Undicesimo, Dodicesimo,
Ventisettesimo,
Ventottesimo fanteria:
attenti al segno,
attenti al segno!
Ancora tre minuti,
due minuti,
uno: “Alla baionetta!”
E tutte le baionette
fioriscono sulle trincee,
tutta la selva di punte
ondeggia, si muove,
si butta sul monte,
travolge i nemici,
rigettandoli oltre le cime,
scaraventandoli giù,
a precipizio dentro l’Isonzo..."



Ai primi giorni di giugno, quando la potente offensiva austro-ungarica in Trentino era oramai in via di esaurimento senza aver colto gli obiettivi strategici che si era posta, a seguito della tenace ed eroica resistenza dei reparti italiani, il generale Cadorna, decideva di impiegare tutte le forze che potevano essere sottratte dalla fronte fra Adige e Brenta su quella dell’Isonzo in vista del progettato attacco contro il campo trincerato di Gorizia.
Fin dal febbraio del 1916 il Comando Supremo aveva deciso di lanciare, in epoca da determinarsi, una offensiva contro la testa di ponte di Gorizia e, in coerenza con tale decisione, comunicava tale intenzione ai comandi dipendenti, ma quando l’organizzazione dell’offensiva, in aprile, era stata quasi ultimata dovette essere sospesa per fronteggiare, il 15 maggio, la Strafexpedition austriaca.

Per fronteggiare l’offensiva austriaca in Trentino, Cadorna dovette inviare in quello scacchiere una parte delle truppe e delle artiglierie che in precedenza erano state destinate al fronte dell’Isonzo.

Con questa decisione il generale Cadorna ritornava alla sua primitiva idea strategica che aveva presieduto alle precedenti cinque battaglie dell’Isonzo, ossia “di operare offensivamente sulla fronte dell’Isonzo” per riprendere l’iniziativa e aprire la via verso Trieste e Lubiana. Sulla base di tale decisione il 16 giugno, Cadorna affidava l’alto compito di condurre la nuova offensiva al comandante della 3a Armata, Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, che presidiava la linea dal Sabotino al mare Adriatico.

La nuova manovra offensiva aveva come criterio di base la realizzazione della sorpresa strategica.
In particolare il Cadorna, approfittando del fatto che l’Austria era stata costretta a spostare nuovamente alcune divisioni dal fronte italiano a quello orientale per tamponare la pericolosa falla creata dall’offensiva delle armate russe del generale Brussilov in Galizia, operando per linee interne, ad iniziare dal 29 giugno, trasferiva la 5a Armata, dalla zona di Vicenza – Padova - Cittadella, sul fronte di Gorizia senza che gli austriaci ne avessero il minimo indizio.

Nel giro di poco più di un mese si spostarono sulla fronte Giulia 300.000 uomini, 60.500 quadrupedi, più di 800 cannoni e bombarde e 10.300 carriaggi.
Caratteristica di tale trasferimento fu la minutissima accuratezza della preparazione, la rapidità dell’esecuzione, la segretezza dei movimenti ottenuta col far conoscere a ciascun reparto la propria destinazione solo durante il movimento.

Della testa di ponte di Gorizia gli austriaci avevano fatto un fortilizio, al quale attribuivano un particolare valore strategico perché avrebbe assicurato, nel momento di una offensiva verso la pianura friulana, il passaggio indisturbato del fiume Isonzo alle unità attaccanti.

Il complesso dei lavori eseguiti dagli austriaci era imponente, e faceva della regione di Gorizia un baluardo pressoché inespugnabile.
Essa si appoggiava a dei robusti pilastri difensivi fra i quali si distinguevano per la loro elevata reattività il M. Sabotino, il M. Santo, il M. San Gabriele, le alture di Oslavia, il Podgora ed a sud il M. San Michele.

Vale la pena evidenziare che per l’Austria, dopo la perdita del Veneto nel 1866, che aveva portato i confini del giovane Regno d’Italia al fiume Judrio, quindi alle porte di Gorizia, quella zona era diventata per Vienna di grande interesse strategico in quanto costituiva un sistema difensivo capace di bloccare le direttrici di attacco verso Trieste e Lubiana.

Iniziata la guerra, il Comando austro ungarico, aveva concentrato a Gorizia forze e mezzi notevoli e della difesa aveva fatto uno dei capisaldi della propria condotta strategica.
Il generale Cadorna era favorito nella sua manovra da due fattori, uno geografico ed uno psicologico.

Per trasportare le sue grandi unità dalla pianura veneta sul fronte dell’Isonzo egli aveva a disposizione, oltre a numerose buone rotabili, due linee ferroviarie a grande capacità logistica che portavano all’importante strada di arroccamento Osoppo - Udine - Cervignano. Gli austriaci invece, dato la conformazione della rete ferroviaria, per il loro movimento avevano a disposizione solo il fascio di comunicazioni Trento –Bolzano – Dobbiaco – Klagenfurt - Gorizia: un arco molto ampio, esterno delle alpi trentine, carniche e giulie, che richiedeva molto tempo a percorrerlo.

Il Comando Supremo austro-ungarico, poi, era convinto che dopo la sanguinosa battaglia di primavera sostenuta in Trentino, l’Esercito Italiano per molto tempo non avrebbe avuto la capacità di organizzare una offensiva e comunque, presumeva che un attacco nell’Isontino, non avrebbe potuto avvenire prima della metà di agosto. Proprio questa valutazione fu il fattore psicologico che favorì il generale Cadorna nel lanciare la sesta offensiva nei primi giorni di agosto del 1916.

Ricordo che l’offensiva in parola, come già accennato precedentemente, contro il campo trincerato di Gorizia era già stata programmata prima che il generale Conrad sferrasse, a metà maggio 1916, la sua Strafexpedition, e avrebbe dovuto essere fatta, secondo le direttive del Comando Supremo, con procedimenti di carattere metodico, mirando cioè a impadronirsi di posizioni in grado da avvicinare la base di partenza per l’attacco in modo da ridurre il più possibile il tratto di terreno scoperto, esposto al fuoco nemico.
Nel tratto prescelto per la rottura era stato previsto un potente intervento di artiglieria e di bombarde, armi queste ultime, che avevano dato risultati molto convincenti con i francesi durante la Battaglia della Somme.

L’offensiva si presentava in quel momento opportuna dal punto di vista politico, per cancellare, con un concreto successo, sia i deludenti risultati della campagna del 1915, sia l’enorme impressione prodotta nel paese dal grave pericolo corso dall’Italia nella primavera del 1916 che aveva portato gli austriaci ad un soffio dalla pianura veneta e che portarono alle dimissioni del governo Salandra.
Una brillante vittoria avrebbe contribuito, altresì, ad elevare le quotazioni del nostro paese nei riguardi degli alleati, considerazioni alquanto scese per gli scarsi risultati ottenuti nel primo anno di guerra e per far cadere più in basso il morale dell’esercito asburgico già intaccato dopo il fallimento dell’offensiva in Trentino e la batosta subita in Galizia ad opera dell’esercito russo.

Inoltre il momento era favorevole poiché le potenze centrali in luglio erano pressate sia sul fronte francese che sul fronte russo.

Dato il logoramento dei mezzi e le gravi perdite subite in Trentino per fermare le armate imperiali, il generale Cadorna, prudentemente limitava l’ampiezza dell’offensiva, “in un primo tempo, alla conquista della soglia di Gorizia” e, precisamente nel tratto dal Sabotino al Podgora, affidandone il compito di sfondare il dispositivo nemico alla 3a Armata, visto che il settore di quel fronte rientrava nella responsabilità dell’armata stessa. L’epoca della manovra offensiva non era ancora stata fissata ma si presumeva che non potesse iniziare prima della metà del mese di luglio.
Il 27 giugno, sulla base degli intendimenti e criteri sanciti dal Comando Supremo, il comandante della 3a Armata comunicava al generale Cadorna il progetto di attacco dell’Armata che “prevedeva un’azione offensiva su vasta fronte, da Plava al Monte S. Michele, addensando però le fanterie e ammassando le artiglierie contro quel tratto della linea nemica che occorre sfondare”.
L’attacco principale prevedeva la conquista del Monte Sabotino e delle alture di Oslavia con l’obiettivo l’Isonzo, coadiuvato da un’azione sussidiaria contro la fronte Grafenberg - Podgora, mentre una vigorosa azione di collegamento doveva premere sulla cortina intermedia fra le alture di Oslavia e quelle del Grafenberg.
Il progetto di attacco, inoltre, prevedeva due offensive sussidiarie nei settori di Plava e del S. Michele, per fissare il nemico sulle sue posizioni.
L’inizio dell’attacco fu fissato per il giorno 6 agosto e quello delle azioni sussidiarie alle ali il 4 agosto.

Il Comando Supremo, allo scopo di rendere possibile alle nostre fanterie di arrivare sulle trincee nemiche, nei tratti in cui fosse giudicato conveniente concentrare gli sforzi, e fare irruzione, aveva emanato già il 18 aprile alcune direttive, sull’impiego delle artiglierie e particolarmente su quello delle bombarde, considerate come il mezzo più efficace per aprire i varchi nei reticolati.

Le forze contrapposte

Fronteggiava la 3a Armata italiana parte della 5a Armata del generale Boroevic. In particolare il XVI Corpo d’Armata a.u. (generale Wurm) presidiava il settore da Auzza al Vipacco. Il VII Corpo d’Armata (Arciduca Giuseppe) era schierato dal fiume Vipacco (escluso) sino a Duino.
La formidabile testa di ponte di Gorizia era difesa dalla 58a Divisione a.u. del generale Zeidler, schierata dal Sabotino a Sant’Andrea, costituita su tre Brigate, rinforzata da una compagnia di assalto e da cinque battaglioni del genio – in totale 22 battaglioni – e sostenuta da 164 pezzi di artiglieria di vari calibri, fra cui anche mortai da 210 e 305. La divisione poteva inoltre avere il concorso di fuoco delle artiglierie delle divisioni laterali, in particolare da quelle della 62a Divisione, schierate sul Monte Santo e sul Vodice.

Difendeva il Sabotino la IV Brigata di montagna austro-ungarica (colonnello Dani) con tre battaglioni in linea ed uno di riserva. La fronte della Brigata era suddivisa in tre settori: Sabotino nord, Sabotino sud e Val Peumica.
La 62a Divisione, più a nord, difendeva il settore di Plava ed il Monte Santo, di fronte al Monte Sabotino separati dalla profonda valle dell’Isonzo. Queste due divisioni costituivano il XVI Corpo d’Armata.
Alla sinistra della 58a Divisione era schierata la 20a Divisione con il compito di difendere il settore comprendente il San Michele e San Martino del Carso. Più a sud tre divisioni difendevano i settori di Doberdò, Monte Sei Busi, Monte Cosich e le quote 85 e 121 a est di Monfalcone.
La riserva dell’Armata era costituita dalla 23a Divisione, con la sola LXXXVI Brigata dislocata nella zona di Comen, sull’Altopiano di Hermada.

La 3a Armata all’inizio della battaglia era schierata dal Monte Sabotino al mare, disponeva di quattro corpi d’armata (VI, XI, XIII e VII), per un complesso di 18 divisioni, per un totale di 201 battaglioni, 1176 pezzi di artiglieria, 774 bombarde.
Gli austriaci si opponevano alla 3a Armata del Duca d’Aosta con 110 battaglioni, 440 mitragliatrici e 638 pezzi di artiglieria.

Con il trasferimento di 40 batterie di medio e grosso calibro, spostate all’ultimo momento dal Trentino all’Isonzo, l’Armata del Duca d’Aosta veniva a disporre di 516 pezzi di medio e grosso calibro e 660 di piccolo calibro oltre a 774 bombarde le quali producevano effetti devastanti sulle truppe schierate nelle trincee e sui reticolati.

Contro la testa di ponte di Gorizia (su un tratto di 9 chilometri di fronte) era contrapposto il VI Corpo d’Armata del tenente generale Luigi Capello, forte di quattro divisioni di fanteria in prima schiera (45a, 24a, 11a e 12a) e due in seconda schiera (43a e 47a) per un complesso di 74 battaglioni di fanteria, 603 pezzi di artiglieria e 390 bombarde.
Ogni battaglione era armato con una sezione mitragliatrici pesanti ed una di pistole mitragliatrici Fiat Ravelli a due canne; inoltre ogni divisione disponeva di un reparto mitragliatrici pesanti su tre sezioni.

L’XI Corpo d’Armata (tenente generale Cigliana) era schierato nella zona del S. Michele-San Martino del Carso con le divisioni 21a e 22a in prima schiera e la Brigata Granatieri, il 9° reggimento fanteria, l’XI Battaglione R.G.F. in riserva per un totale di 37 battaglioni, 217 pezzi di artiglieria e 210 bombarde.

Il XIII Corpo d’Armata (tenente generale Ciancio) presidiava la zona di Polazzo da quota 164 al Monte Sei Busi, con la Brigata Macerata e la 31a Divisione in prima schiera e pochi elementi in riserva per un totale di 19 battaglioni, 80 pezzi di artiglieria e 78 bombarde. Più a sud sino al mare era schierato il VII Corpo d’Armata del tenente generale Tettoni con le Divisioni 14a e 16a, rinforzate dalla 1a Divisione di Cavalleria appiedata in prima schiera, e con poche unità in riserva.

Erano in riserva di Armata l’VIII e il XXVI Corpo d’Armata, la 19a e la 49a Divisione.
Il generale Capello fu uno dei personaggi più discussi della guerra e del dopoguerra in Italia, per unanime ammissione, uno degli ufficiali generali più geniali e capaci che l’esercito italiano abbia mai avuto. Brillante e poliedrico, straripante di energia, dotato di grande spirito di iniziativa e di un notevole ascendente sulle truppe. Senza dubbio fu uno dei pochissimi generali capaci di avere proprie idee e di affermarle anche in contrasto con la caparbia volontà di Cadorna. Al VI Corpo d’Armata che comandava fu affidato il compito più importante, in poche parole, la conquista della testa di ponte di Gorizia.
La preparazione della battaglia era stata curata tecnicamente nei minimi particolari dal generale Capello e dai comandi dipendenti, nonché dal comando dell’XI Corpo, sul San Michele. In particolare Capello diede molta importanza allo schieramento delle artiglierie, migliorando l’osservazione e il collegamento con le unità di fanteria per sfruttare al massimo la preparazione, nell’intento di far giungere le fanterie sulle trincee nemiche insieme agli ultimi proiettili.
Erano state effettuate accurate ricognizioni per conoscere i particolari difensivi dell’avversario. Fin dal dicembre 1915 nel settore del Sabotino furono iniziati e poi compiuti imponenti lavori fino a giungere con trincee e camminamenti a stretto contatto con la linea austriaca, in modo da ridurre il numero degli sbalzi per giungere sulle trincee nemiche e di mantenere integre le fanterie sino al momento dell’attacco al riparo dal tiro delle artiglierie nemiche.
Animatore instancabile di quei lavori fu l’allora tenente colonnello Badoglio prima come comandante del 74° Reggimento fanteria e successivamente al comando del 139° Reggimento fanteria della Brigata 'Bari'.

Fritz Weber, ufficiale di artiglieria che combatté sul Carso e storico della Grande Guerra, nel suo libro “Dal Monte Nero a Caporetto” precisa che “la testa di ponte di Gorizia era un capolavoro di tecnica militare. Il Sabotino era stato trasformato in una immensa fortezza. Ogni compagnia, ogni plotone disponeva di caverne aperte con la dinamite nella roccia viva, dalle quali partivano cunicoli che conducevano alle due posizioni che tagliavano a un terzo e a mezza altezza il pendio del monte piuttosto scosceso e privo di ripari naturali. La vetta era circondata da una corona di postazioni di mitragliatrici in cemento armato, provviste di scudi. In base a quanto era dato umanamente prevedere lo si poteva considerare inespugnabile. Altrettanto ineccepibili, sotto l’aspetto tecnico, erano le fortificazioni intorno a Oslavia e a Peuma e quelle del Podgora.”

Data l’importanza che il comando austriaco dava a quel tratto del fronte, considerato come la chiave di volta di tutta la difesa della piazzaforte di Gorizia, l’organizzazione del terreno sul Sabotino aveva avuto uno sviluppo eccellente.

Efficacissima si dimostrò l’artiglieria dell’Armata che sorprese il nemico, poiché per la prima volta l’allora colonnello Segre, valentissimo ufficiale comandante dell’ artiglieria, fece effettuare i tiri di inquadramento con un solo pezzo per batteria, riuscendo così a mascherare la messa in posizione di numerose batterie giunte in rinforzo dal fronte trentino. Per la prima volta l’artiglieria fu impiegata con flessibilità e tempestività appoggiando da vicino l’avanzata delle fanterie.
Fu anche per la prima volta effettuato il tiro con proietti a gas contro le batterie nemiche che dal Monte Vodice battevano di fianco il Monte Sabotino.

Ricordo che il comando austriaco usò quest’arma illecita e atroce, il gas, all’ alba del 29 giugno 1916 sull’altopiano di Doberdò: in pochi minuti migliaia di fanti che si trovavano nelle trincee avanzate, privi di maschera antigas, caddero al suolo agonizzando. I micidiali vapori di cloro annientarono due Brigate, la Pisa e la Regina dell’XI Corpo d’Armata, pari a circa ottomila uomini, la gran parte soffocati dal fosgene.

Prima dell’azione fu risolta una questione di capitale importanza: il rifornimento dei proietti di artiglieria che, se avessero difettato durante la battaglia, l’artiglieria non avrebbe potuto svolgere il tiro di distruzione e di appoggio. Il 20 luglio il comando della 3a Armata veniva informato che per l’offensiva poteva fare assegnamento su 2.150.000 colpi.

Considerata la stagione e il territorio sul quale operavano le unità (natura calcarea delle rocce, scarsezza di acque superficiali e mancanza di acque sorgive perenni), particolarmente accurato fu il servizio idrico per rifornire l’acqua potabile ai reparti combattenti, mediante l’impiego di autocarri attrezzati con botti metalliche, botti di legno, barili someggiati e ghirbe da quaranta litri. Per rifornire tutti i reparti occorrevano circa 2.000 ettolitri d’acqua al giorno.

Nei mesi invernali molta cura fu dedicata alla preparazione morale e tecnica della truppa e degli ufficiali tendente ad elevare lo spirito e la disciplina, a sfatare eventuali pregiudizi sulla inespugnabilità di posizioni avversarie, ad instillare in tutti i soldati la fiducia nella potenza degli ingenti mezzi a disposizione e quindi la certezza di una vittoria rapida e completa.
Venne completato l’addestramento di tutte le unità dell’esercito con nuovi criteri e nuove direttive frutto delle esperienze vissute nei mesi trascorsi in combattimento dalle unità italiane e alleate.
Mi preme evidenziare che l’attacco italiano non era affatto atteso, ne supposto fra gli avvenimenti possibili, poiché il Capo di Stato Maggiore Austriaco era convinto che la durissima battaglia sostenuta sugli Altopiani avesse di molto indebolito la capacità combattiva dell’esercito italiano.
Ed invece era proprio vero il contrario, nel Trentino, l’esercito italiano aveva finalmente conosciuto se stesso, aveva perduto molti complessi d’inferiorità, si era misurato con le migliori truppe dell’esercito imperiale, ed in difficilissime condizioni, a prezzo di enormi sacrifici, le aveva arrestate.
Quanto da parte austriaca fosse considerato lontano un attacco contro le difese di Gorizia, lo si può capire dal fatto che il 31 luglio, pochi giorni prima dell’inizio dell’offensiva italiana, il generale Erwin von Zeidler, comandante della 58a Divisione, lasciava il comando per recarsi in licenza.

Gli ordini della 3a Armata per la conquista di Gorizia.

Decisa l’azione principale per il 6 agosto, il Comando della 3a Armata, il 31 luglio, diramò alle unità dipendenti gli ordini definitivi per l’attacco che prevedevano:

VII Corpo d’Armata: lanciare tenaci attacchi da iniziarsi con due giorni di anticipo rispetto all’azione del VI Corpo per attirare la maggior quantità di forze avversarie nel settore M. Cosich – Monfalcone (tratto di fronte molto sensibile per il nemico), e da proseguirsi nei giorni successivi;

VI Corpo d’Armata: attaccare e respingere l’avversario oltre l’Isonzo e prendere saldo possesso della soglia di Gorizia, attaccando le posizioni austriache della testa di ponte, con azione a fondo nel tratto Sabotino-quota 188 e con l’ala destra contro il M. Podgora;

XI Corpo d’Armata: concorrere, col fuoco delle artiglierie, all’azione dimostrativa del VII Corpo; successivamente attaccare contemporaneamente al VI Corpo, il San Michele considerato il pilastro meridionale della testa di ponte di Gorizia allo scopo di impedire al nemico di impiegare i suoi mezzi e il fuoco delle artiglierie contro il VI Corpo d’Armata;

XIII Corpo d’Armata schierato nella zona di Doberdò fra il VII e l’XI Corpo: concorrere, col fuoco delle artiglierie, all’azione dimostrativa del VII Corpo; assecondare successivamente l’azione dei corpi d’armata laterali (XI e VII), nel modo che le circostanze avrebbero indicato come più opportuno.

Il criterio d’impiego di tutte le artiglierie, bombarde comprese, doveva essere il seguente: svolgere, su spazio ristrettissimo, azione a massa con carattere di estrema violenza, per sconvolgere e distruggere le difese austriache ed aprire, attraverso esse, ampi e facili passaggi alle fanterie”.

La 2a Armata (ten. gen. Settimo Piacentini) doveva impedire alle opposte truppe austriache di spostarsi verso la fronte della 3a Armata italiana dove si svolgeva l’attacco principale. Tale compito doveva essere assolto con intense azioni di fuoco di artiglieria del IV Corpo d’Armata da svilupparsi il giorno 6 agosto nel settore di Tolmino, Santa Maria e Santa Lucia e del II Corpo d’Armata a favore del VI Corpo d’Armata del generale Capello.
La sera del 3 agosto lo schieramento della 3a Armata era compiuto.

Attacco alla testa di ponte di Gorizia.

Il 4 agosto, preceduta da un intenso fuoco di artiglieria e bombarde, iniziò l’offensiva con un attacco diversivo svolto da reparti del VII Corpo d’Armata contro le alture ad est di Monfalcone. L’attacco condotto con la massima energia ottenne il risultato sperato, cioè di attirare in quella selva di piccoli arsi dossi che hanno il nome anonimo della quota, rinforzi di truppe e di artiglierie.
Località queste che erano altrettanti calvari bruciati dal fuoco, tante volte strappate al nemico e tante volte riperse, ma sempre testimoni di mille eroismi dimenticati e di supremi ardimenti e sacrifici.
Gravi però furono le perdite subite durante i numerosi assalti delle posizioni austriache al punto che le unità attaccanti, dopo aver conquistato alcune trincee, dovettero ripiegare sulle basi di partenza.

Il mattino del 6 agosto, alle ore 06.45, incominciò la prima fase della preparazione d’artiglieria con un tiro intensissimo e ben aggiustato sugli osservatori, sui comandi, sulle postazioni di artiglieria e sulle linee di comunicazioni nemiche. Un’ora dopo iniziò il fuoco di preparazione diretto sulle vie di irruzione delle fanterie e sui reticolati specialmente ad opera delle bombarde, impiegate per la prima volta a massa, armi queste ultime di una efficacia di tiro spaventosa. Il tiro si dimostrò molto efficace e veramente demolitore contro i reticolati e le postazioni avversarie.

Capello destinò la 45a Divisione all’attacco del pilastro nord del Sabotino, la 12a Divisione all’attacco del pilastro sud del Podgora e le Divisioni 24a e 11a all’attacco del fronte fra i due pilastri. In riserva tenne due divisioni la 43a e la 47a , più un gruppo di truppe celeri (2 battaglioni di bersaglieri e 4 squadroni di cavalleria).
Le divisioni avevano il compito di conquistare le posizioni citate e ricacciare il nemico oltre il fiume Isonzo.

Vediamo l’azione della 45a Divisione ( comandante ten. gen. Venturi).
Sulla base del compito affidatole, la 45a Divisione, doveva svolgere un’azione principale in corrispondenza dell’alto e medio Sabotino e due azioni sussidiarie rispettivamente sul versante nord del Sabotino e in Val Peumica.

Per l’assolvimento del compito il comando della divisione costituì tre colonne di attacco: la colonna di sinistra, agli ordini del colonnello Badoglio, doveva conquistare l’alto Sabotino (quota 609 m.) indi spingersi sino ad occupare il costone di San Valentino e raggiungere la riva sinistra dell’Isonzo; la colonna centrale, agli ordini del maggiore generale Gagliani (comandante la Brigata Toscana), doveva irrompere nella zona Vallone del Sabotino, raggiungere il costone di S. Mauro e costituire una piccola testa di ponte sulla sponda sinistra del fiume; la colonna di destra, agli ordini del maggiore Boetti, doveva operare in Val Peumica e scardinare le difese di Casa Abete quando le truppe della colonna Gagliani spingendosi verso S.Mauro le avessero minacciate di accerchiamento.
Sulla fronte della divisione furono aperti dall’artiglieria e dalle bombarde due varchi ampi 200 metri ciascuno.
Alle ore 16 la colonna Badoglio costituita dal 78° Reggimento della Brigata Toscana, dal III° Battaglione della Brigata Abruzzi e dal III° Battaglione della Brigata Treviso, accompagnati dalle ultime salve di artiglieria che impedivano ai difensori di uscire dai ricoveri, si lanciavano all’assalto delle posizioni austriache sulla cima del Sabotino difese da un battaglione di dalmati del 37° Reggimento fucilieri, ne travolgevano la resistenza, e alle ore 16.40 conquistavano la vetta, mentre le artiglierie con grande precisione ne assecondavano gli sforzi neutralizzan-do le riserve ammassate sul retro delle posizioni nemiche.

Centinaia di soldati erano rimasti bloccati nelle loro caverne sottoposti al fuoco dell’artiglieria e dei fanti, alla fine gran parte degli sconfitti, nell’impossibilità di resistere, decisero di arrendersi.
Superata la resistenza l’azione proseguiva rapida sino a raggiungere a sera la linea S. Valentino-S.Mauro e il ponte ferroviario di Salcano sull’Isonzo dove i nostri fanti, impegnati a raggiungere la riva sinistra dell’Isonzo, incontrarono una durissima resistenza.

Con una operazione rapidissima, ove il valore, la grande perizia e la tenacia si fusero e della quale fu anima l’allora colonnello Badoglio, l’imponente caposaldo della difesa austriaca, il calvario di ben quattordici Brigate che si erano avvicendate dall’inizio della guerra per espugnarlo, fu conquistato, in breve tempo, dai valorosi soldati delle Brigate 'Trapani' e 'Toscana'.

“Fu come l’ala che non lascia impronte,
il primo grido avea già preso il monte!”
Con queste parole il poeta Gabriele D’Annunzio, ne cantò la brillante conquista, e i due versi furono presi come motto dalla 45a Divisione, protagonista dell’impresa.
Durante la giornata, a sud del Sabotino, la Brigata Lambro (205° e 206° Reggimento) della 24a Divisione assaltava la quota 188 ubicata a nord di Oslavia e il Dosso del Bosniaco, già in tanti sanguinosi combattimenti fieramente contesa e, dopo dure alterne vicende di lotta, il mattino del 7 agosto venivano conquistate.
Più a sud la Brigata Abruzzi (57° e 58° Reggimento) della 24a Divisione attaccava frontalmente le munitissime trincee di Oslavia e dopo durissimi scontri occupava il costone di Oslavia. Sulle falde a nord del Monte Podgora, la Brigata Cuneo (7° e 8° Reggimento) della 11a Divisione, con grande slancio occupava la selletta a nord del Podgora e raggiungevano i ponti n° 4 e 5 sulla riva destra dell’Isonzo; mentre reparti della 12a Divisione attaccavano le difese del M. Podgora-Calvario (Brigata Casale) e della piana di Lucinico (Brigata Pavia) e dopo aver superato tre ordini di trincee, si avvicinarono ai due ponti sull’Isonzo (il ponte ferroviario e il ponte stradale).
Gli austriaci resistevano ancora tenacemente sul Monte Podgora, su quota 206 del Grafenberg e in Val Peumica a nord di Oslavia e in corrispondenza del sottopassaggio della rotabile Mochetta - Podgora.

Il 3 dicembre 1915, nel corso della Quarta Battaglia dell’Isonzo, cadeva sul Podgora, laddove erano già caduti migliaia di soldati, il sottotenente Scipio Slataper, triestino, volontario giuliano, laureato in lettere, poeta, scrittore famoso di due opere “Il mio Carso” e “L’Ibsen” e direttore della fiorentina “La Voce” che tanto profondo segno ha inciso in tutta la cultura italiana. Alla sua memoria venne concessa la medaglia d’argento al Valore Militare.

La sera del 6 agosto, i comandi austriaci, sebbene avessero giudicato molto critica la situazione della 58a Divisione, non avevano ancora perduta la speranza di poter riconquistare le posizioni perdute, vennero predisposti per la notte stessa contrattacchi con l’impiego della riserva divisionale costituita da nove battaglioni.

Il generale Boroevic, comandante della V Armata, la sera del 6 agosto sentì il bisogno di emanare alle sue truppe un proclama di incitamento a resistenza tenacissima; ma il tentativo di esaltazione degli spiriti depressi fu vano e, l’indomani, nuove sconfitte pesarono su quelle truppe abituate per 15 mesi a vedere infranti gli sforzi generosi ed eroici dei nostri fanti.

Il contrattacco contro la nostra occupazione del Sabotino fu sferrato all’alba del 7 agosto con l’impiego di quattro battaglioni, dopo accaniti corpo a corpo che non conobbero limiti per crudeltà, gli austriaci furono respinti, caddero nelle nostre mani circa 700 prigionieri e 7 mitragliatrici.

Anche i contrattacchi austriaci per la riconquista del Costone di Oslavia e la selletta del Grafenberg non ebbero migliore fortuna, furono respinti.
Pieno successo ebbe invece il contrattacco lanciato dal nemico contro i Battaglioni della Brigata Cuneo, che la sera del 6 agosto avevano raggiunto i ponti n° 4 e n° 5 sulla riva destra dell’Isonzo, ma erano rimasti pressochè isolati dal resto della Brigata. Durante la notte furono accerchiati e all’alba attaccati da più parti. Dopo alcune ore di lotta accanita furono sopraffatti.

Per effetto della poderosa offensiva, degli intensi bombardamenti, la permanenza degli austriaci a Gorizia incominciava a divenire impossibile. Il mattino dell’8 agosto una pattuglia del 28° Reggimento fanteria della Brigata Pavia, guidata dal sottotenente Aurelio Baruzzi di Lugo di Romagna, con un ardito colpo di mano, conquistava il sottopassaggio della strada Mochetta – Podgora catturando 200 uomini e 2 cannoni che sbarravano la predetta strada. Nel tardo pomeriggio dell’ 8 agosto, reparti della Brigata Casale e Pavia, nella zona di Lucinico, passavano a guado l’Isonzo ove costituirono una robusta testa di ponte, e alle ore 16.00, il sottotenente Baruzzi, issava il tricolore sulle rovine della stazione ferroviaria di Gorizia.
Al prode ufficiale, transitato in servizio permanente effettivo per meriti di guerra, veniva conferita di “motu proprio” di S.M. il Re Vittorio Emanuele III, la medaglia d’oro al valor militare con la seguente motivazione: “Comandante di un reparto di bombardieri a mano, si slanciava per primo in un camminamento austriaco, catturandovi uomini e materiale. Due giorni dopo, accompagnato da soli quattro uomini, irrompeva in un sottopassaggio della ferrovia preparato a difesa, contro i quali si erano spuntati gli attacchi di due giorni precedenti, intimando audacemente la resa a ben 200 uomini, che venivano catturati unitamente a due cannoni e ricco bottino di armi e materiali. Più tardi, partecipava al passaggio a guado dell’Isonzo, si spingeva in Gorizia e nella stazione centrale innalzava la prima bandiera italiana. Gorizia, 6-8 agosto 1916”.

Oramai la resistenza per i difensori della testa di ponte era insostenibile. Vista la situazione il Comando del XVI Corpo d’ Armata austro ungarico dava l’ordine alla 58a Divisione di fanteria di evacuare, per la notte dell’8 agosto, la testa di ponte di Gorizia organizzando la resistenza sulla riva sinistra dell’Isonzo e mantenendo solo sulla sponda destra una testa di ponte a difesa del ponte ferroviario di Salcano.
Il ripiegamento dei residui 5.000 uomini sui 18.000 della divisione, si effettuò in parte nella notte, in parte nel mattino successivo, combattendo a passo a passo.
Cadevano nel frattempo anche le alture di Peuma, il fortino del Grafenberg e la quota 240 del Podgora, pilastro sud della testa di ponte di Gorizia e quotidiano olocausto di tante giovani vite, dove gli ultimi reparti austriaci del pluridecorato 23° Reggimento degli Schützen dalmati-croati, denominati “I Leoni del Podgora”, rimasti a proteggere la ritirata, benché ormai isolati, opponevano ancora una accanita resistenza.
Nel medesimo tempo i genieri austriaci provvedevano a far saltare in aria tutti i ponti stradali e ferroviari ad eccezione del ponte di Salcano.

Cavalleria italiana entra in GoriziaAlle ore 2 del giorno 9, una Brigata di Cavalleria mista al comando del generale Barattieri, attraversato il ponte della rotabile a Lucinico, entrava in Gorizia e raggiungeva la Piazza Grande, oggi Piazza della Vittoria, mentre una colonna di cavalleria e bersaglieri eliminavano le ultime resistenze intorno alla città. La perdita della città costituì per l’Austria un duro colpo per l’orgoglio e il prestigio della Monarchia perché fu la prima città degli Asburgo sulla quale sventolò il tricolore italiano.

Per il glorioso esercito di Francesco Giuseppe la caduta della città, conosciuta come la “Nizza austriaca”, e del San Michele rappresentava assai più di una città semidistrutta o di una brulla collina carsica arata dalle granate. Per quei fieri soldati erano i luoghi leggendari dell’eroismo e dei sacrifici indicibili di migliaia di commilitoni Caduti. Era caduto uno dei simboli dell’antica Monarchia Asburgica.
La dura battaglia svoltasi per la conquista della testa di ponte di Gorizia e del San Michele, dopo tre giorni di sanguinosi combattimenti contro un avversario valoroso, agguerrito e deciso a non cedere, era vinta.

Oggi su quelle alture bagnate dal sangue di migliaia di Soldati sorge il Sacrario di Oslavia, esso custodisce i resti di 57.201 soldati italiani e di 13 Medaglie d’Oro al Valor Militare della 2a e 3a Armata caduti durante i combattimenti per il Sabotino, per il Monte Santo, per Oslavia e per il Podgora.

Nel frattempo si erano svolte le previste operazioni sul Carso condotte dall’XI, XIII e VII Corpo d’Armata per impegnare l’ala meridionale della difesa della testa di ponte di Gorizia, mentre il II Corpo d’Armata manteneva impegnata l’ala settentrionale dello schieramento austriaco.
Dopo dura e sanguinosa lotta le eroiche Brigate Brescia, Ferrara e Catanzaro della 22a Divisione espugnavano le quattro cime del S.Michele difeso strenuamente dai valorosi soldati della 20a Divisione Honvéd, baluardo leggendario che, da oltre un anno, aveva visto il generoso sacrificio di tante giovani vite. Non riusciva l’azione della 21a Divisione contro le difese di S.Martino del Carso, che dopo aver conquistato un primo ordine di trincee, a causa di un nutrito fuoco di artiglieria e di numerosi contrassalti avversari, dovette rinunciare a mantenere la posizione.

Più a sud, la 14a Divisione del VII Corpo d’Armata, continuando l’azione dimostrativa svolta nei giorni 4 e 5 agosto, dopo numerosi e impetuosi assalti conquistava alcune trincee avanzate dell’importante quota 85 (a est di Monfalcone).
Nel corso di questi assalti cadde eroicamente il Bersagliere Enrico Toti, trentaquattrenne da Roma. Scoppiata la guerra, nonostante gli fosse stata amputata una gamba per un incidente ferroviario occorsogli nel 1911, fece invano per tre volte domanda di andare al fronte ma senza esito; infine la quarta domanda gli fu accolta dal Duca d’Aosta, che destinò il Toti, con l’incarico di portaordini, al III Battaglione Bersaglieri Ciclisti, il quale: “come pervaso dalla fede e dalla febbre di tutti i grandi storpi e monchi dell’epopea italiana, arranca su per la china, innanzi a tutti, allo sbaraglio, lanciando bombe; e quando, ferito una prima, una seconda, una terza volta, sta per piegarsi sull’unico ginocchio malfermo, s’inarca e scaglia al di là del corpo dei Morti, al di là dello sguardo dei vivi, la irosa mortale stampella, comprimendo fra il cuore e le labbra il vivo piumetto palpitante d’amore”.
Alla memoria del bersagliere Enrico Toti, assurto a simbolo dell’eroismo nazionale, fu concessa la Medaglia d’Oro al Valore Militare.

Nei giorni seguenti la caduta di Gorizia, il nemico sottoposto all’azione incalzante dei nostri reparti e resosi conto di un possibile pericolo di sfondamento della fronte con tutte le sue possibili ripercussioni sulla situazione generale della guerra sulla fronte dell’Isonzo, si ritirava sulla seconda linea di difesa investita sul S.Gabriele - S.Marco - San Grado di Merna – Oppachiesella – quota 208 - alture est di Monfalcone e contro le quali posizioni il Regio Esercito avrebbe affrontato un altro periodo di durissime battaglie.

Senza dubbio la conquista di Gorizia costituisce un fatto d’arme da scrivere a lettere d’oro nelle gesta dell’esercito italiano e del popolo italiano.
Lo riconosce la Relazione Austriaca quando dice: “Con la conquista di Gorizia e dell’insanguinato Altopiano di Doberdò l’esercito del Re Vittorio Emanuele, dopo oltre un anno di lotta, aveva ottenuto un grande risultato tangibile, che rafforzò il prestigio italiano nella coalizione, e parve per un momento dare il tracollo alla bilancia degli insuccessi sofferti dall’Austria-Ungheria dal giugno in poi.”

All’indomani della perdita di Gorizia il Falkenhayn, capo di stato maggiore dell’esercito tedesco, così si espresse: “Il 6 agosto, l’importante posizione della testa di ponte ad ovest di Gorizia fu perduta, e pochi giorni dopo anche la città cadde in mano agli italiani; l’avversario guadagnò terreno in molti punti della riva sinistra dell’Isonzo. Ciò produsse una grave crisi e costrinse eziandio a togliere alcune divisioni dalla fronte orientale, sostituendole con truppe germaniche.
Le fatali conseguenze dell’impresa compiuta per suo conto dall’Austria-Ungheria in Tirolo, continuano tuttora a manifestarsi, e l’ultima, cioè l’entrata in guerra della Romania a fianco dell’Intesa, stava per verificarsi.
A tale situazione difficilissima per gli Imperi Centrali contribuì certamente, ed in modo notevolissimo, l’Italia”.

Anche nel campo politico-militare a livello europeo la brillante vittoria delle armi italiane concorse efficacemente a determinare l’entrata in guerra, il 27 agosto, della Romania a fianco delle potenze dell’Intesa, incidendo, quindi sull’economia generale della guerra.
La vittoria costò alle forze italiane 6.310 morti, 32.784 feriti, 12.127 dispersi. La 5a Armata austro-ungarica, durante l’intera battaglia, ebbe complessivamente la perdita di 4.581 morti, 18.054 feriti e 17.512 dispersi.

Ritengo giusto e doveroso riconoscere che il nemico oppose lungo tutto il fronte ove si svolse la sanguinosa Battaglia una decisa, fiera, disperata resistenza e vendette a caro prezzo il terreno perduto.

La Sesta Battaglia dell’Isonzo con la presa di Gorizia è stata una delle più importanti vittorie della nostra guerra per il generoso slancio delle nostre truppe, per la strenua tenacia dei nostri avversari, per la perfetta organizzazione del terreno di attacco, per l’aderenza dei procedimenti tattici alla realtà della lotta, per l’addestramento e la preparazione morale della truppa, per il tenace e sapiente lavoro di approccio svolto dai fanti e genieri, per la genialità dei comandanti, per il duro colpo vibrato al prestigio dell’esercito imperiale; possiamo affermare che la Sesta Battaglia dell’Isonzo rappresentò un esempio di un magistrale attacco ben preparato, brillantemente diretto e riuscito.

Luigi Capello, il vincitore della battaglia di Gorizia, scrisse con legittimo orgoglio queste parole: “Durante la guerra non c’era stata, fino allora, una battaglia che in proporzione alle perdite abbia creato maggior risultato e abbia tonificato gli spiriti”.
Il generale Fortunato Marazzi, comandante della 12a Divisione, scriverà una frase ancor più commovente: “Ho potuto vendicare mio figlio Ottaviano caduto per la Patria”.
Il Consiglio dei Ministri, preso da inconsueta euforia, decideva di conferire a Vittorio Emanuele III la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Il Sovrano rispose al Primo Ministro Boselli: “Troverei profondamente ingiusto che mi venisse una così alta decorazione, mentre ho certamente fatto molto, ma molto meno di tante migliaia di semplici soldati ai quali non toccherà nessuna onorificenza”.

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